In generale questo non è più un paese per molte categorie di persone ma in particolare non lo è per quelle impegnate nel lavoro creativo e intellettuale.
Le motivazioni molteplici: l’avvento dei social, l’accesso facile ai programmi di elaborazione grafica e fotografica, alcune.
Lo stesso fenomeno, però, non si riscontra nel resto dei paesi europei dove le professioni legate alla comunicazione hanno dignità e riconoscimento sociale, quindi è chiaro che è un fatto culturale legato al nostro approccio con i mestieri della comunicazione, non solo visiva.
E qui ritorno a uno dei nostri mentori, maestri, fari illuminanti: Massimo Dolcini.
Abbiamo visitato la mostra di cui a un nostro precedente post, mostra itinerante per l’Italia che vi invitiamo a tenere d’occhio qualora si presentasse dalle vostre parti.
Di seguito una serie di immagini che illustrano la sua attività di professionista della comunicazione che viveva il mestiere concretamente sul territorio e in tutte le sue sfaccettature, compreso l’artigianato, l’illustrazione e perché no la poesia…
La mostra ci ha chiarito come oggi manchi completamente un’attenzione culturale al mondo della comunicazione e, in particolare, ciò che non esiste più è la committenza.
Quello scambio con le istituzioni, un tempo sensibili a comunicare in modo efficace e corretto (e in questo il lavoro di Dolcini parla in modo esemplare del rapporto committenza/territorio/professionista) e da qui a scendere a qualsiasi entità, struttura, azienda che non vive più la comunicazione visiva come uno step fondamentale della propria attività e del proprio ruolo sociale.
Possiamo e dobbiamo però guardare all’esempio di Dolcini per recuperare (almeno tentare) quell’onestà professionale visibile chiaramente nel suo instancabile lavoro, che ci conforta e ci stimola, nonostante tutto, ad aver fiducia nel futuro.