Dando seguito alle mie riflessioni sul tema dell’utilità “sociale” dei mestieri creativi non posso che dar per scontato che la fotografia sia stata forse il principale stimolo, dal reportage, alla foto di cronaca, a quella d’autore, per sollecitare l’attenzione su grandi questioni di carattere etico e civile.
Uno su tutti Sebastião Salgado che con i suoi suggestivi bianco e nero ha saputo offrire una chiave di lettura originale e allo stesso tempo ferocemente realistica di aspetti come lo sfruttamento minorile, la povertà nei paesi del terzo mondo, la condizione femminile, riuscendo, pur nella drammaticità, ad esaltare l’aspetto “poetico” di certe visioni.
Tornando al design e in particolare alla grafica, trovo che oggi, escluse poche e singole iniziative, l’attenzione del design verso temi etici sia raramente frutto di un’esperienza e di un “vedere” collettivo così come poteva essere ed è stato tra gli anni 70 e i 90.
Penso a iniziative come la Biennale della Grafica attraverso cui negli anni 80 si è ridefinito il mestiere del grafico, dando rilevanza alle responsabilità culturali e sociali del comunicatore visivo.
A figure come Giovanni Anceschi, Giovanni Brunazzi, Massimo Dolcini, che attraverso la sperimentazione e l’azione sul territorio, in comunione e confronto con altre discipline, innovarono il ruolo del visual designer e ancora di più l’espressione della grafica tradizionale (fino ad allora legata a canoni visivi rigidi, orientati quasi unicamente alla funzione consumistico/commerciale).
Il grafico diventa “narratore urbano” avvicinando il linguaggio visivo a quello verbale, un divulgatore di “segni/significati”…. quasi ad anticipare l’idea di “piazza” virtuale del web.
Per chi volesse approfondire, alcuni link:
http://it.wikipedia.org/wiki/Sebasti%C3%A3o_Salgado
http://archivio.massimodolcini.it/public/manifesti/default.aspx
http://www.doppiozero.com/materiali/interviste/intervista-video-giovanni-anceschi